Corporeità vissuta e principio di progressività in Biodanza

di Patricia Colina

Chiameremo corporeità il modo in cui ognuno di noi sente il proprio corpo e i propri movimenti. Una costruzione permanente a livello biologico, psicologico, sociale e culturale. Questa costruzione è composta da significati e immagini della vita quotidiana che si modificano come gli affetti e i legami, le emozioni, il piacere e il dolore, le sensazioni, l’aspetto fisico estetico, la libertà o meno di vivere pienamente, basandosi sempre sulla differenziazione – identificazione con gli altri. Quindi, la corporeità proviene fondamentalmente da ciò che è organizzato dalla materia biologica, dalle impressioni sensoriali vissute nelle prime fasi dello sviluppo, legate alle prime vivencias, alle prime esperienze cinestesiche che hanno determinato matrici percettive, energetiche, affettive, mentali, con le quali l’essere umano si esprime o segna il suo modo di comunicare. Su queste prime esperienze, Françoise Dolto ha detto: “Le prime sensazioni corporee sperimentate quando siamo bambini continuano a vibrare nel nostro corpo adulto e continuano a esercitare un’influenza decisiva sulla nostra vita emotiva, le nostre scelte, le nostre produzioni intellettuali o artistiche più elaborate.”

Il corpo di ieri (bambino) – il corpo di oggi (adulto) vibrano allo stesso tempo: il ritmo.

L’immagine dell’emozione è essenzialmente ritmica, immagine del ritmo dell’interazione affettuosa, lo scambio sensoriale e sensuale tra due presenze che si accordano o non si accordano. Ripetizioni, percezione dei tempi forti e deboli. L’impronta delle variazioni ritmiche dell’intensità emotiva. (F. Dolto: L’immagine inconsciente del corpo).

Quando la danza emerge dall’intimo, essa non emerge dalla tecnica appresa ma dalla propria esplorazione sensibile e intuitiva di questa corporeità. Negli incontri di Biodanza, condividiamo ritmi, melodie, linguaggi silenziosi e dimenticati che emergono improvvisamente e ci collegano a ricordi di ciò che siamo stati, di ciò che siamo, di ciò che viviamo, incontrando il luminoso e l’oscuro. Come facilitatori, amplifichiamo questo ascolto sensibile e le voci degli altri corpi che parlano. Viviamo intensamente questi corpi in movimento, la vicinanza, la lontananza, il contatto, il calore, la sensualità. Presenze commosse, sguardi, la forza del gruppo. Sentimenti di appartenenza, fiducia, comunichiamo in modo non usuale, dando un nuovo significato a vissuti che si presentano e ci trasformano. I messaggi che ci arrivano, i segnali, commuovono le nostre identità permeabili.    Essere accolti e accogliere l’altro. Essere guardati e sentiti, essere visibili. Corpi abitati e abilitati, di tenerezza, di piacere, essere accettati e accettarci in questi processi di evoluzione dell’identità. È un percorso meraviglioso, di apprendimenti inaspettati, sentirsi in movimento, giocare, rinnovarsi, con il potere magico di nutrirsi di amore verso noi stessi e gli altri. Energie avvolgenti della vita che ci regalano nuove immagini, nuove sensazioni, aprendo percorsi per riconoscerci nei nostri simili… Ci riparentalizziamo.

“Il corpo, come i libri sacri, custodisce tutta la storia dall’inizio alla fine, ogni impronta del corpo ha genitori, nomi, storie che si susseguono l’una dopo l’altra. Ogni segno, solco, angolo o valle sono legati tra loro e possono essere letti in mille modi. Paradiso e inferno si toccano su un ginocchio, un battito, una bocca, e così l’odio e l’amore, le punizioni e il perdono continuano a incidere” (Elina Matoso, “Il corpo territorio scenico).

Articolo tratto dal sito dell’École de Biodanza De Lyon.

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